Usi civici e proprietà collettive in Umbria. Il caso dell’università Agraria di Viepri di Adriano Ciani.

In relazione al convegno regionale XXXI incontro di studi Ce.S.E.T. tenutosi a Sassari il 14 Settembre 2001 nell’aula magna dell’Università degli Studi.

Relazionato dal professor Adriano Ciani, in occasione dei festeggiamenti del centenario della Comunanza Agraria di Viepri in data 23 luglio 2000.

  1. Premessa

L‘estimo dopo un periodo di stabilità della disciplina, ha segnato, negli ultimi decenni, un nuovo interessante dinamismo. Tale aspetto è frutto della capacità autogena degli studiosi della materia di addentrarsi, attraverso le verifiche annuali promosse dal Ce.S.E.T, sulla attualità della disciplina e sui suoi contenuti. Il dinamismo della stessa è dato anche, in parte, dal ruolo dei propagatori alloctoni sia soprattutto dall’incontro sempre più stretto fra ambientalisti ed economisti.

Il problema della scarsità dei beni ambientali ha posto sempre più all’attenzione di tutti la questione della gestione, della valorizzazione e conservazione delle risorse naturali ed ambientali e del territorio, nonché l’analisi del valore di tali tipi di beni che sono entrati fra quelli economici non da molto.

Questo quadro di riferimento ha inoltre reso necessario andare a rileggere le applicazioni dell’estimo, non solo ai beni tradizionali ma anche ai diritti e servizi ad essi collegati e non. Tutto ciò rende di notevole attualità anche il tema proposto dal XXXI Incontro di Studio del Ce.S.E.T. che intende affrontare i problemi estimativi legati alle terre soggette al diritto di godimento collettivo.

In verità si tratta di un problema che alla luce di alcuni analisi storiche ha una datazione ultramillenaria e che riguarda, come sempre, non solo il caso italiano ma tutta una serie di aree che sono state, nel tempo, culla di civiltà e di realtà rurali fiorenti.

Si affronta qui un argomento molto forte e incentrato sulla caratterizzazione di beni pubblici e beni privati.

Nella discriminante fra beni pubblici puri e privati puri (non rivalità ed non esclusività per i primi rivalità ed esclusività per i secondi) si pongono i beni privati misti e pubblici misti. In questo si collocano i terreni privati con usi civici da una parte e le proprietà collettive con usi civici dall’altra. Un certo gradiente di rivalità e di esclusività sono gli aspetti che nel corso dei secoli hanno tracciato il carattere e la funzione sociale delle terre ad uso collettivo.

Al fine di dare un filo logico al presente contributo è bene fornire un quadro storico della evoluzione delle terre ad uso collettivo in Italia.

2. Gli usi civici e le proprietà collettive (breve analisi storica)

– Origine romana o no?

Secondo alcuni autori gli usi civici in Italia ed in Europa risalibbero alle forme di uso delle terre del demanio con le forme dell’agri vectigales, degli agri quaestorii, degli ager publicus compascuus, dei fundi.

Secondo altri nell’epoca romana il concetto del dominio cioè della proprietà è un concetto molto ben definito. L‘ordinamento patrimoniale romano è caratterizzato dalla Pubblicità e dalla Sicurezza.

Quanta importanza abbia la proprietà privata lo mostra la costituzione serviana, che sebbene sia una anticipazione storica, resta tuttavia come prova sicura della coscienza giuridica: i doveri in guerra sono proporzionati ai beni posseduti; i capite-censi sono esenti dalla milizia a dagli atri pesi dello Stato. Secondo lo stesso Mommsen la concessione in uso delle terre pubbliche era non per tutti ma solo per chi pagava i vectigal.

Ciò fa somigliare queste concessioni alla enfiteusi che agli usi civici. Lo stesso Mommsen sottolinea: ‘(L’uso del pascolo comune ed in genere dei beni dello Stato … non era considerato dalle leggi romane un diritto vero ed incontestabile di usufrutto sui menzionati beni ”. Dipendeva esclusivamente dall’arbitrio dei governanti. In ogni modo i plebei, non essendo cives optimo jure, ne furono quasi sempre esclusi essi i più poveri e bisognosi, a differenza anche in ciò dell’uso civico che era un diritto a favore specialmente dei meno abbienti.

Secondo il Raffaglio[5] “nessuno degli istituti che nel diritto romano si dicono precedenti storici degli usi civici e delle promiscuità,lo sono davvero”. “Non può ravvisarsi fra gli uni e gli altri analogia giuridica, perché la facoltà di pascere, di tagliar legna,di godere di beni pubblici nel diritto romano è concessione non vero diritto; l’uso è condizionato ad un canone o se gratuito è comunque precario. Non ha ragione e origine nella personalità umana e nella qualità di civis, nel diritto di vivere che ha ogni uomo, ma è conseguenza di un 168 I determinato possesso o di speciali privilegi politici. I beni pubblici goduti sono alienabili, sono piena proprietà della civitas che tutto ad un tratto può togliere l’uso senza compensi di sorta agli utenti. Invece l’uso civico compete alla persona. Il fondo sul quale il diritto si esercita riceve per ciò stesso una destinazione giuridica speciale, che perdura qualunque sia per essere il proprietario della terra ed in qualunque tempo di poi, perché il diritto se personalmente e soggettivamente è alienabile, oggettivamente è imprescrittibile”.

Si può affermare che se sul piano della raffinata analisi giuridica il filo di continuità parrebbe molto esile se non addirittura assente nella sostanza l’uso di terre pubbliche o private da parte di singoli è presente nel corso della storia da molti secoli.

– La proprietà collettiva nella storia e presso i vari popoli

La proprietà collettiva, secondo il Cencelli, pur con diverse sfaccettature e ruoli, si riscontra presso quasi tutti i popoli della terra come un momento saliente della loro evoluzione sociale ed economica.

Le prime società si organizzarono con forme di proprietà collettiva delle terre che hanno fatto chiamare questo periodo età dell’oro o del regno di Saturno. Dal Cancelli[2] si evince anche: “Il Prof Cognetti DeMartiis, nel suo bel libro intitolato Socialismo antico, ha studiato lungamente questa leggenda dell’età dell’oro, ricercandone l’area di diffusione ed il fondamento di realtà storica, che essa racchiude. La leggenda dell’età dell’oro assume diverse forme secondo i paesi dove si è allargata. Nella forma italica abbiamo il Regno di Saturno, nella ellenica i Tempi di Kronos, nell’indiana il Krita Yuga, nell’eranica il Regno di Ema, nell’ebraica il Giardino di Eden, nella cinese l’epoca della virtù perfetta, nell ’Egiziana il Tempio dei seguaci di Horos, nell ’americana iI Paese di Tullan, la Paxi Cayala, il sotterraneo del Monte Navajos e la dominazisae del Grande Uccello. E più avanti[2] “Noi troviamo la proprietà collettiva e i sorteggi periodici anche nell’antico Egitto, in Cina, nell’India antica e moderna, in Persia. Inoltre a Giava, nel Peru, sotto la monarchia degli Incas, presso gli Atzechi, e poi in Polinesia, in Nuova Caledonia. Si tratta, dunque, come dicevamo da principio, di un fatto universale o quasi, che corrisponde, presso tutti i popoli, ad un periodo del loro incivilimento”.

Così, storicamente più avanti, nell’epoca medioevale, ritroviamo davvero delle forme che sembrano più concretamente anticipare gli usi civici dell’era moderna.

Gli Allmend nel Nord Europa e soprattutto in Germania, il Mir della Russia, la Druzina o Zadruga degli Slavi, la Dessa Giavanese, sono fenomeni conclamati che richiamano, più o meno da vicino, gli usi civici e le proprietà collettive.

– Usi civici, diritti promiscui, demani comunali. Un necessario approfondimento.

Dice il Raffaglio[5] “Col nome di diritti promiscui, demani comunali, usi civici, e specialmente con quest’ultima espressione si intendono in senso ampio quelle facoltà che gli abitanti di un villaggio o di una frazione di comune hanno di godere in varia maniera e diversa misura di certi territori del municipio o di privati ed alle quali facoltà sono poi dati nomi diversi nelle varie regioni come legnatico, erratico, boscheggio, pensionatico, vagantivo, ademprivio ecc., secondo anche le diverse forme che assume l’esercizio del diritto”.

In breve le proprietà collettive o comunanze, che derivano anche dalle università agrarie, sono dei beni di proprietà di una frazione o comune sui quali, gli abitanti singoli o aventi diritto, esercitano i diritti di godimento e di sfruttamento dei beni stessi. Su questi terreni si esercitano anche gli stessi usi civici.

Gli usi civici sono dei diritti di sfruttamento di abitanti di un comune o di una frazione su terre pubbliche o di privati. Le promiscuità sono relative ai beni che appartengono a più comuni e sulle quali si esercitano diritti di sfruttamento delle popolazioni degli abitanti dei due comuni.

– Evoluzione storico-giuridica delle proprietà collettive e degli usi civici

Fino all’avvento dell’unità d’Italia tali diritti e socializzazione delle terre era un fenomeno a larga diffusione e che trovò ampia applicazione anche nelle Regioni dell’Italia Centrale.

Dopo l’unificazione d’Italia furono molte le iniziative legislative tendenti ad abolire soprattutto sulle terre private l’esistenza degli usi civici. Con queste opzioni vengono varate in periodi successivi:

– Legge 20 giugno 1871 n 283;

– Legge 20 giugno 1877 n. 3917 ;

– Legge 2 aprile 1882 n. 698;

– Legge 21 agosto 1888 n 5489;

– Legge 4 agosto 1894 n 307.

In particolare quest’ultima dopo alcuni anni di azioni tendenti a dissolvere 170 il sistema degli usi civici e delle terre collettive ha cercato di ripristinare il concetto di considerare gli stessi da un punto di vista della preferenza sociale . Tale legge infatti porta il titolo: “Ordinamento dei domini collettivi nelle Provincie dell’ex. Stato Pontificio ”.

È un dispositivo che porta in avanti il sistema dell’uso dei terreni pubblici o comuni e che recupera in senso moderno il concetto del ruolo della proprietà collettiva accanto a quella privata. Ciò anche seguendo il pensiero dello stesso Stuart Mill che pur essendo stato il primo a concepire l’idea della confisca della rendita della terra non dovuta al lavoro (unearned increment) finì anche per affermare che “le riforme da fare nel1 ’istituto della proprietà consistono nell’organizzare la proprietà collettiva a lato di quella individuale ”.

Tutto ciò portò, dopo vari tentativi, per una definitiva ricollocazione degli usi civici e delle proprietà collettive, alla Legge 1766 del 1927 “Riordinamento degli usi civici del Regno” e relativo Regolamento n. 332 del 1928.

Di fatto questo dispositivo compie un passo in avanti netto e anche di modernizzazione senza scalfire il principio e la valenza per le classi e spesso i nuclei familiari delle aree più deboli delle possibile e giusta convivenza fra proprietà privata e collettiva.

3. Gli usi civici in Umbria

– Evoluzione storica

L’Umbria è una regione che è stata ed è fortemente segnata dalla presenza di numerose terre in proprietà collettiva e soprattutto dagli usi civici.

Dall’analisi di dati di archivio e da informazioni raccolte direttamente presso l’Ufficio Regionale, preposto a seguire la problematica delle terre pubbliche e degli usi civici, è emerso che in Umbria esiste una Comunanza Agraria che data dal 1200. Si tratta del territorio di Costacciaro che ricade nell’ambito del parco naturale del Monte CUCCO sede fra l’altro di una intensa attività di turismo per il volo libero.

La presenza degli usi civici è stata caratterizzata dal pascolo e dal legnatico ma anche, (nella zona del nursino e dello spoletino), dalla raccolta dei tartufi. Questo ha riguardato sia usi civici su terre private (esempio terreni della diocesi di Norcia e Spoleto) che pubbliche (IRBE, etc). Il diritto della raccolta dei tartufi è stato ed è inoltre presente sulle proprietà collettive.

Secondo il Cancelli[2] al momento della pubblicazione della legge 24 giugno 1888 sulla affrancazione dei diritti d’uso nelle provincie ex-pontificie, si calcolava che il patrimonio collettivo delle popolazioni nell’Italia Centrale fosse di circa Ha 586.996. Gli Enti regolarmente costituiti erano nella, sola provincia di Perugia, pari a 73 con 7529 utenti e una superficie di 18.810 Ha.

Nel 1908 avvenne la sospensione elle affrancazioni dei diritti d’uso e questo fu anche il momento in cui si ricostituirono, via via nel tempo, le associazioni agrarie.

La Regione Umbria è stata tuttavia caratterizzata, sin dal momento della sua costituzione, da un forte fermento e da un notevole lavoro intorno al come gestire, in senso moderno, l’ampio spettro delle terre pubbliche che si incrociava e si incrocia con il problema e la presenza degli usi civici.

In Italia Centrale si è svolto inoltre un Convegno[3] che ha fatto storia e che ha riacceso, all’indomani del varo delle Regioni a Statuto Ordinario, il dibattito intorno alla pastorizia e la montagna in decadimento e spopolamento ed il ruolo di quella fase storica e di prospettiva delle Comunanze Agrarie e delle terre comuni.

La sostanza di quel meeting fu il tentativo di una rivitalizzazione delle Comunanze e si gettarono comunque i principi di un ruolo non solo produttivo di tali terre ma anche di salvaguardia del territorio poiché gli antichi usi civici permettevano di fatto una integrazione di reddito e una possibile stabile presenza dell’uomo come presidio sul territorio stesso.

La crisi energetica legata alla guerra del Kippur, il richiamo anche di illustri economisti agrari e non, sul recupero a centralità del sistema economico nazionale, la diatriba ed il dibattito sulle zone “polpa” e quelle “osso” dell’agricoltura italiana, la crisi occupazionale ed il problema dei giovani che pose le basi per la legge sulle “terre incolte” e la legge 285/78 per l’occupazione giovanile, hanno dato occasione in Umbria, dal 1978 al 1982, ad un dibattito prolungato con proposte anche di un certo interesse e forse attualità.

Tutto questo materiale è raccolto nei Quaderni della Regione Umbria -Serie Economia 1 a cura di Silvano Levriero[6] con il titolo: “La questione delle terre di Proprietà degli Enti Pubblici o di uso Collettivo”. Tutto questo poi ha trovato un momento di raffreddamento anche a causa di alcuni cambiamenti politici significativi come l’abbattimento dei tassi di inflazione a livelli non più latino-americani ma europei, la crescita dell’immagine del Paese e pertanto il rallentamento che la morsa di attenzione sulle terre pubbliche avevano prodotto molte forze politiche soprattutto di sinistra.

– La situazione attuale

Allo stato attuale in Umbria risulterebbe che in totale le terre pubbliche, fra cui le proprietà collettive, ammontano ad una superficie pari a 52000 Ha. Non è possibile ancora conoscere, perché è in atto una indagine conoscitiva, il dettaglio del dato. Una parte importante di queste terre è tuttavia ancora caratterizzata dalla presenza di usi civici. Questi sono ancora presenti su alcune terre private. Ad esempio nella piana di Castelluccio c’è una proprietà privata di oltre 600 Ha ancora gravata da uso civico del pascolo.

– La legge regionale vigente

Nel 1984 viene votata, in un quadro socio-politico più rasserenato rispetto al decennio precedente, la Legge Legge 17 Gennaio 1984 dal titolo: “Norme in materia di usi civici e sull’uso produttivo delle terre pubbliche”.

La stessa Regione dell’umbria ha raccolto in unico volume le norme sugli usi civici con un contributo della Collana “Le leggi della Regione Umbria” dal titolo: “Forestazione ed usi civici: normativa regionale”. La norma regionale dell’umbria che ricalca in parte anche quelle di altre come la Toscana, le Marche e la Campania ha tre elementi di fondo che meritano di entrare nel dettaglio.

Innanzi tutto l’art. 1 che detta le finalità di questa legge.

Esso recita: “La Regione esercita le funzioni amministrative trasferite con D2R. 15 gennaio 1972 n. 11 e con D.PR. 24 luglio 1977 n. 616 in materia di usi civici, alfine di favorire, tramite l’uso produttivo delle terre soggette all ’esercizio di usi civici e di altri diritti di promiscuo godimento, lo sviluppo economico dei territori interessati. Le disposizioni della presente legge si applicano anche alle terre della Regione e a quelle degli Enti locali, nei limiti consentiti dal regime giuridico e dai vincoli di destinazione dei rispettivi beni”.

È interessante verificare come il ruolo degli usi civici diventi opportunità per l’uso produttivo delle terre e momento per lo sviluppo economico. Questa opzione appare una svolta interessante che tenta di mantenere, nel rispetto della capacita endogena delle popolazioni locali, i diritti acquisiti e li canalizza su un progetto di sviluppo moderno delle aree rurali coinvolte.

Appare un positivo prodromo alla attuale politica di sviluppo rurale della U.E. Il dispositivo affronta poi il problema della ricognizione degli usi civici. La stessa avrebbe dovuto essere effettuata nel tempo di 150 gg comprensivi dei 90 necessari alla Regione per la trasmissione degli elenchi ai vari Enti interessati e dei 60 gg da utilizzare da parte di questi per effettuare le comunicazioni sugli elenchi stessi. Viene affermato che “L ’inventario ha esclusivamente carattere conoscitivo e può essere aggiornato sentiti i comuni, le frazioni, e le associazioni agrarie interessate ”.

Molto rilevante ed innovativo appare l’art. 7 che prevede la introduzione del Piano di sviluppo economico.

Esso recita: “I beni civici dei comuni, delle frazioni, ed associazioni agra- rie devono essere utilizzati in conformità ad un piano di sviluppo economico che dovrà tendere, in relazione alla estensione ed alla qualità dei terreni, alla introduzione ed alla regolamentazione di attività produttive plurime, secondo le modalità del successivo art. 8. Qualora sulle terre siano attualmente esercitati usi civici di carattere essenziale da parte degli aventi diritto, il piano dovrà riservare le superfici necessarie al loro soddisfacimento, se ed in quanto tale uso non contrasti con l’interesse della generalità della popolazione. I diritti di godimento degli usi civici debbono comunque essere esercitati secondo le effettive esigenze degli utenti e nei limiti fissati dal1 ’art. 1021 del C.C. Gli indirizzi generali del piano saranno tracciati dagli enti interessati sulla base del Programma Regionale di Sviluppo e dei Piani eventualmente adottati dalle Comunità Montane e dagli Enti delegati in materia di agricoltura. I piani sono approvati dal Consiglio regionale su proposta della Giunta Regionale ed il Provvedimento implica approvazione delle eventuali modifiche di destinazione delle terre che si rendessero necessarie ai fini di corrispondere agli interessi della generalità della popolazione, fatte salve in ogni caso le competenze comunali in materia urbanistica”. Circa le modalità d’uso all’art. 8 viene data spinta alla costituzione di co- operative qualora le terre interessate siano di vaste superfici. In caso di superfici piccole si ipotizza l’opportunità della cessione in comodato agli imprenditori agricoli a titolo principale. In alternativa lo stesso dispositivo delinea l’opportunità della costituzione di consorzi di ricomposizione fondiaria “diretti ad unificare e coordinare la gestione aziendale di più appezzamenti di terreno ”.

La concessione delle terre civiche è comunque subordinata alla presentazione di un Piano di sviluppo Aziendale.

Lo stesso articolo prevede inoltre che gli “Enti titolari di terre civiche possono riservarsi la gestione produttiva delle terre, nelle forme imprenditoriali o consortili consentite dai rispettivi ordinamenti”.

La legge Regionale dell’umbria ha come principio ispiratore di fondo la necessità di valorizzare le terre pubbliche e gli usi civici. Pur stimolando la opportunità di trasformazione in cooperative tuttavia offre diverse alternative d’uso di dette terre. In ultimo dà ancora l’opportunità agli Enti che ne hanno la volontà di essere loro stessi gestori in senso moderno delle proprietà pubbliche. Gli effetti di tale dispositivo di fatto seppure non eclatanti hanno permesso il superamento in molti casi di diatribe e liti ultracentenarie e in qualche caso an- che la conferma del ruolo ancora attuale e efficace delle Comunanze Agrarie e delle Università Agrarie. In tal senso di seguito si illustra il caso della Università Agraria di Viepri.

4. L’Università Agraria di Viepri

– Le origini

La Comunanza Agraria di Viepri ha un interesse tutto particolare per la sua storia. I1 nome di tale Ente appare storicamente in un documento relativo alla terminazione fra la città di Todi, il villaggio di Montecchio e di Viepri. In questo documento redatto da un Giudice del tempo, il Columbrino, risulta che al 20 agosto del 1548 si attivava questo confine fra le tre realtà e si affermava l’esistenza di “Homines Castri Veprium ”.

Essi erano definiti anche proprietari dei fondi che venivano descritti nell’atto di confinazione. La stessa Università Agraria viene indicata nel Catasto Pontificio del 1603 come “Universitàs Homines Castri Veprium”.

Si tratta pertanto di una realtà con radici antichissime e che ha attratto la sua attenzione per la sua ancora attuale dinamicità e per il legame e il ruolo di identificazione che ha con la frazione di Viepri localizzato in Comune di Massa Mar- tana in Provincia di Perugia.

– Un po’ di storia

L‘ “Univerisitas Homines Castri Veprium ” ha svolto la sua funzione di terre di dominio collettivo senza eccessivi sobbalzi dalla sua costituzione fino a circa metà dell’anno 1899. In quella data infatti il Comune di Massa Martana in applicazione alla legge n. 489 del 24 giugno 1888 pubblicò l’elenco delle servitù di pascolo com- prendendovi in particolare anche i terreni dei vocaboli di Brincalone e Monte Schignano.

A seguito di questo atto gli abitanti della frazione entrarono in una lite contro il loro stesso Comune con una prima azione con la quale un gruppo effettuava esposto alla Giunta degli Arbitri del circondario di Perugia “contro l’elenco che il Comune di Massa Martana aveva formato dei diritti e servitù di pascolo e legnatico gravanti i beni del suo territorio”.

La diatriba si accentuava poi a seguito del taglio che il Comune di Massa stesso aveva intrapreso sui terreni della frazione. Gli abitanti di Viepri ne chiedevano la sospensione e la Giunta procedeva ad accogliere tale richiesta.In questa circostanza la stessa Giunta forniva alla luce della nuova legge del 1894 la opportunità per gli abitanti della frazione di costituirsi in Comunanza Agraria vista l’esistenza degli atti che comprovavano la loro esistenza storica come Università fin dal 1548.

Il Comune di Massa Martana ed il Sindaco avrebbero dovuto procedere loro alla convocazione dei citrini per tale atto ma ciò nonostante sollecitazioni non avvenne.

Per questo il 22 Luglio del 1900 essi stessi in numero di 49 alla costituzione dell’Ente, del regolamento e formando subito la lista degli utenti. Contro tale atto costitutivo il Comune di Massa Martana fece ricorso il giorno prima del termine previsto dall’art. 6 della legge del 1894. Di fatto la diatriba di concludeva a favore degli abitanti di Viepri nel 102, cioè 99 anni fa. A seguito della legge del 1927 lo statuto veniva rivisitato e così il regola- mento. La Comunanza Agraria continua tuttavia la sua attività con un livello molto positivo di visibilità.

– La situazione attuale e le prospettive

La Comunanza Agraria di Viepri si estende su una superficie di 276 Ha. Ta- le superficie è divisa in tre appezzamenti dei quali uno per i 3/4 è collocato nella zona del Monte Martano. Si tratta di superficie a bosco in prevalenza e in parte a pascolo.

I diritti di uso civico che si esercitano da parte degli utenti sono:

– legnatico;

– pascolo;

– raccolta tartufo.

Gli utenti attuali sono 90. Ciò è dovuto al fatto che hanno di recente assorbito anche la piccola Comunanza Agraria di Castelvecchio, località pressoché a confine. I diritti d’uso sono esercitati in base a domande per ogni attività dai singoli utenti.

Essi pagano una quota differenziata in funzione delle quantità per il legnatico, al numero dei capi per il pascolo e forfettaria per la raccolta tartufi. Il Budget della Comunanza Agraria è intorno ai 100.000.000 di lire annui.

Rilevante è il ruolo che la stessa svolge per la comunità nel suo complesso. Con questo budget sono stati realizzati nel tempo vari interventi. Alcuni di miglioramento del pascolo con punti di acqua, ricovero e riparo degli animali. Altri interventi hanno riguardato la realizzazione di un parco con punti per barbecue nei quali le famiglie del luogo e/o turisti possono passare momenti di tempo libero all’aria aperta.

Da alcuni ani si svolge anche una festa locale della montagna.

Funziona ancora in senso comunitario un vecchio forno da pane localizzato a nord del Paese lungo le mura castellane. Sono però state portate a termine di concerto con l’Amministrazione Comunale e la Comunità Montana anche la ripavimentazione in stile della piazza del borgo, il restauro della Chiesa parrocchiale e il campanile dell’Abbazia del 1600.

Ogni anno danno una quota del Budget alla Pro-Loco per tutte le iniziative tendenti a valorizzare la realtà della frazione. Appare evidente come la Comunanza in questo caso sia il motore economico e umano della vitalità di una frazione che ha fatto della sua storia e tradizione la prospettiva per il suo futuro.

Nel quadro di riferimento della forte spinta alla valorizzazione dei vecchi centri e borghi rurali la Comunanza Agraria di Viepri appare uno strumento di grande modernità (botton-up) di modello di gestione dei processi di conservazione produttiva di una realtà significativamente interna dell’umbria. Di questi casi nell’Umbria ed in Italia Centrale ne esistono molti segnata- mente positivi.

Alla luce di questo caso studio appare evidente la necessità di una rilettura più approfondita di questo universo che negli ultimi decenni nono- stante anche le indicazioni della legge 97 del 31 gennaio 1994 (Nuova Legge sulla montagna) è rimasto molto sommerso rispetto al ruolo che ha continuato a svolgere e che potrebbe svolgere in prospettiva.

5. Gli usi civici e l’estimo

Una brevissima considerazione prima di alcune note conclusive si rende necessaria sul problema delle valutazioni relative alle terre di dominio pubblico e degli usi civici. Il molo che hanno avuto e che hanno questi beni e questi diritti fanno si che abbiano investito ed investano qualcosa in più della semplice sfera produttiva e dell’integrazione di reddito o prodotto o servizio.

Le Università Agrarie, le Comunanze, etc. hanno rappresentato e rappresentano spesso la identificazione con le proprie origini, la tradizione, la cultura di una popolazione di un singolo operatore.

Al valore del bene soggetto ad uso civico, al diritto di uso civico, alla proprietà collettiva si legano elementi aggiuntivi anche suggestivi nella creazione del valore finale di questi stessi beni, diritti o servizi.

Si ritiene che l’ampio ed efficace avanzamento che ha fatto l’Estimo nel campo della valutazione dei beni, diritti e servizi di carattere naturalistico ed ambientale investa anche questa categoria oggetto del dibattito di questo Convegno.

Si ritiene che entri campo in questo quadro di riferimento in modo chiaro il concetto di valore sociale complesso. Il valore di questa categoria di beni, diritti e servizi non deriva solamente dalla utilità diretta (valore di scambio o valore d’uso) ma anche da elementi che attengono al concetto di valore d’opzione e di esistenza.

Un terreno, l’uso civico sullo stesso, in questi casi assumono per gli abitanti un valore che si lega anche alle opzioni e quindi al contributo che essi danno o possono dare al miglioramento degli attuali componenti una famiglia, una frazione, ma anche per le future generazioni.

Ciò in un contesto nel quale, la ruralità in ambiente innovato e innervata da servizi innovativi e infrastrutturazioni dematerializzate, sta diventando una rivoluzione forse epocale che si può riassu- mere sinteticamente nell’ “era del ritorno e della ricerca delle proprie radici ”.

Una Comunanza Agraria ha un suo valore in quanto esiste in quanto rappresenta l’elemento che identifica una certa realtà e che permette a molte di queste piccole realtà comunque di andare in avanti e di migliorarsi pur sempre nel solco della tradizione che tuttavia è un valore già in se stessa.

Su di essa si è formato nel tempo un capitale umano e sociale che ritrova nella stessa la motivazione e il catalizzatore del perchè della sua esistenza. Ciò vuol dire che le valutazioni in questo ambito devono acquisire una rilettura in modo di dare concretezza pratica a quanto di fatto tutti concordano ormai di accettare in termini di analisi teorica.

6. Conclusioni

Il problema degli usi civici e delle terre pubbliche appare ancora un aspetto importante anche in un Paese che si colloca fra i più avanzati del mondo. Ad una lettura serena, sgombra da opzioni ideologiche, e di più coerente interpretazione storica si ritiene che l’argomento, debba riacquisire, una più giusta attenzione anche da parte degli addetti ai lavori del settore economico-estimativo.

La legge 1766 del 1927 che è ancora il dispositivo fondamentale di regolazione della tematica appare ancora una buona legge. Essa di fatto, non dimentichiamolo, ha permesso di frenare definitivamente la tendenza di abolizione totale iniziata all’indomani dell’unificazione del Paese di forme di gestione e di diritti di utilizzazione che hanno rappresentato l’elemento di coesione e di permanenza anche ai soli fini di presidio di molte popolazioni in aree molto marginali di montagna ed alta collina.

È certo che dopo 74 anni si rende forse necessario se non quantomeno utile l’opportunità di una rilettura in senso moderno del dispositivo. Si pensa alla opportunità di arrivare ad un Testo Unico che dia alle Regioni ampia possibilità di applicazione flessibile soprattutto per quanto riguarda le finalità d’uso delle terre di proprietà collettiva e dell’esercizio dell’uso civico e soprattutto nelle modalità d’uso di dette stesse terre.

Tutto ciò in un’ottica nella quale molte Comunanze, Consorzi di Ricomposizione Fondiaria, possono rappresentare i nuclei portanti su cui costruire i Gruppi di Azione Locale per lo Sviluppo Integrato e Sostenibile di molte aree ancora svantaggiate del Paese. Va forse ricercata la opportunità di affidare a questi Enti, ove esistano e ove abbiano certe caratteristiche e funzionalità, la capacità di soggetti giuridici pro- motori dei processi di sviluppo.

Ciò ampliando lo spettro del possibile intervento (in modo diretto o indiretto) sull’intero contesto sociale e strutturale di una realtà. Ciò allargando in senso integrato il ruolo che questi soggetti hanno ed hanno avuto in molte realtà del nostro Paese.

C’è l’opportunità di trasformare la visione di elemento di debolezza di un territorio che la presenza di tali Enti ha avuto fino ad oggi in elementi di forza del futuro dello sviluppo di queste realtà.

C’è l’occasione ghiotta di costruire anche, sull’immaginario collettivo, che questi stessi Enti stimolano un futuro di qualità di vita migliore proprio in aree che hanno spesso rappresentato le zone più deboli di molte Regioni.

7. Bibliografia

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