La prima notizia relativa all’esistenza della chiesa di Santa Maria de Vepribus risale al settembre 1185, quando viene ricordata in un privilegio con cui l’imperatore Federico I Barbarossa confermava molte chiese e possedimenti all’importante insediamento monastico benedettino di San Pietro in Monte Martano.
Una consolidata tradizione locale la vorrebbe edificata alcuni decenni prima per iniziativa dei Nobili di Castelvecchio, al tempo del vescovo Ottone (+ 1144). L’ipotesi di tale fondazione, non suffragata ad oggi da nessun documento, è in parte avallata dal fatto che la maggior parte delle chiese esistenti a Castelvecchio in quel periodo, di cui oggi rimane solo quella di Sant’Ippolito, ricadeva sotto la giurisdizione dello stesso monastero benedettino di Monte Martano.
Nel corso del secolo successivo risulta essere una Collegiata con un priore e quattro canonici; tra quelli appartenenti al clero diocesano che alla fine del Duecento componevano il suo Capitolo si ricordano domnus Franciscone, domnus Blaxius, domnus Bartholucius, domnus Bartholone, oltre a tali Albricus, Intendutius e Ascone, laici facenti parte della stessa comunità religiosa. Nel 1291 papa Nicolò IV, dietro istanza del card. Matteo d’Acquasparta, concede uno dei quattro canonicati a Giovanni suo familiare e cappellano.
Nel luglio 1298 si ha notizia che tale Egidio figlio di Giovanni di Mainardo da Ponte, immesso nel possesso della rettoria della chiesa di Sant’Apollinare in diocesi di Spoleto per mano dello stesso Cardinale, godeva anche un canonicato della chiesa di Sant’Angelo in Scorcola di Marcellano e della chiesa di Santa Maria di Viepri.
Per tutto il Medioevo, la pieve di Santa Maria fu sede di uno dei diciannove plebati, circoscrizioni territoriali sia ecclesiastiche che civili, in cui si articolava il vasto Comitatus tudertino. Ad essa facevano riferimento il castello di Monte Schignano, posto a mezza costa dell’omonima altura, e la villa di Veprium che, dopo la distruzione del ricordato castello avvenuta nel 1380, venne cinta di mura, assumendo i connotati di un vero e proprio insediamento fortificato. Insediamento che, grazie alla presenza della Pieve e alla sua vicinanza con l’antica Via Flaminia, divenne il centro più importante del territorio circostante, soprattutto dopo la distruzione di Castelvecchio, avvenuta negli anni Quaranta del Quattrocento.
Nella tenuta del castello di Viepri esistevano anche altre tre chiese, una intitolata a San Quirico, ai confini con Castelrinaldi, una di Santa Croce e una terza dedicata a San Cristoforo de Monte Pignalario. Pressoché dirute, nel 1574 viene ordinata la demolizione d elle prime due, la costruzione di una croce nel sito da loro occupato ed il trasferimento dei relativi benefici ed oneri di culto in Santa Maria.
Come appariva il complesso della Pieve nei secoli passati? Con ogni probabilità occorre individuare il nucleo originario della costruzione in quello che oggi corrisponde alla parte absidata della navata laterale destra. La primitiva chiesa, divenuta nel frattempo a due navate e dotata di una torre campanaria in facciata, sarebbe poi stata ulteriormente ingrandita e modificata nel corso dei secoli, fino a raggiungere l’ampiezza che ancora oggi conserva. La visita apostolica Camaiani (1574) fornisce alcuni particolari per meglio comprendere le diverse fasi edilizie che hanno interessato il complesso nel corso dei secoli. Il documento parla infatti di due porte di ingresso, di un cimitero posto intorno all’edificio e delle vestigia di una grande mola e di un chiostro già pertinenti all’antico complesso collegiale. All’interno della chiesa vengono ricordati, oltre al maggiore, anche gli altari di Sant’Antonio di Padova e di Santa Croce. Quest’ultimo verrà poi sostituito da quello del SS. Rosario, la cui relativa Confraternita venne eretta il 18 maggio 1599; nella parrocchia era già attiva da alcuni decenni anche una Confraternita del SS. Sacramento.
Ulteriori interventi strutturali furono forse eseguiti nella prima metà del Seicento. A questo periodo risale infatti il dipinto raffigurante la Natività di Maria, opera del tuderte Andrea Polinori (1586-1648), un tempo posto sull’altare maggiore. Una accurata descrizione del complesso, delle suppellettili, dell’archivio e dei beni della parrocchia, redatta nel gennaio 1872, si deve all’abate parroco don Geremia Lancellotti, morto nel 1885.
Perduta la sua forma originaria, realizzata la nuova cella campanaria nel 1890, completata solo nel 1910 con l’attuale coronamento e la rifusione delle vecchie campane ad opera della Fonderia Marinelli di Agnone, la chiesa venne integralmente restaurata nell’anno 1940 per iniziativa del parroco don Alessandro Piozzi e della comunità parrocchiale. I lavori vennero progettati ed eseguiti dalla ditta del prof. Pollione Moriconi di Todi, che cercò di riportare l’edificio al suo primitivo stile romanico, cancellando però ogni traccia di tutte le modifiche apportate nel corso del tempo.
Dalla chiesa di Santa Maria proviene un prezioso calice cesellato e sbalzato, con smalti policromi, risalente alla prima metà del Quattrocento, oggi conservato presso l’Esposizione di Arte Sacra della Basilica Concattedrale di Todi.